Presentazione di Enzo de Paoli

Una pittura serena e rasserenatrice

“Non è azzardato dire che il grosso pubblico novarese, particolarmente affezionato al genere figurativo, ha trovato un nuovo beniamino… ”, scriveva Giovanni Quaglino di Sergio Cominetti, in occasione della sua prima mostra personale pubblica alla galleria “S. Stefano” di Novara nell’autunno 1976.

Mi piace iniziare così questa riflessione sull’arte e la vita dell’amico Sergio, con un ricordo che, mentre richiama alla memoria un’attività ed una produzione intensa e ricca, che ha avuto la sua prima presentazione pubblica, ben trentadue anni fa, offre contemporaneamente l’occasione di ricordare un critico, giornalista, insegnante, preside, amministratore e operatore culturale: Giovanni Quaglino, prematuramente scomparso, che molto ha lavorato, e bene, per la sua terra novarese, il cui nome città e provincia non ricordano forse quanto avrebbe meritato.

Giovanni era critico preparato ed esperto ed aveva subito riconosciuto in Sergio Cominetti le doti e la personalità del vero artista.

Sergio CominettiPer questo parlava di lui come di “un nuovo, interessante pittore figurativo”, e precisava: “si tratta della prima personale (anche se il trentanovenne pittore esercita da molti anni), quasi che Cominetti abbia voluto prepararsi al debutto con una pervicace ricerca di raffinamento tecnico”.

Quaglino, a quel tempo, aveva subito rilevato quanto poi, nel corso dei decenni, in molti (compreso il sottoscritto), avrebbero ripetuto: la prima sensazione data dalle opere dell’artista è quella di una grande abilità nell’uso del disegno e delle tecniche, dal tratteggio a china alla pirografia (incisione a fuoco su legno), un’abilità che ricorda un mestiere d’altri tempi.

Già in quella mostra apparivano molte di quelle che sarebbero poi diventate le caratteristiche più significative della sua produzione.

Numerosi i paesaggi, che avrebbero quindi accompagnato l’intero arco, a tutt’oggi, della sua attività artistica, attestando così il suo innato e persistente amore per la natura, e numerose anche le vedute novaresi, che fin d’allora mostravano la profonda, sentitissima adesione del pittore alla sua terra.

In quegli anni egli aveva già eseguito: “Cortile del Broletto di Novara” (1964, matita sua carta), “Duomo di Novara” (1974, china su carta), “Ponticello di legno” (1976, pirografia) , “Paesaggio” (1976, pirografia).

Nella stessa mostra comparivano poi altri soggetti che, pur avendo caratterizzato periodi del suo lavoro, non compaiono oggi nella sua più recente produzione.

Mi riferisco in particolare alle composizioni surreali, che caratterizzarono prevalentemente solo la seconda parte degli anni settanta, come “Paesaggio surreale” (1979, pirografia), “Nautilus” (1979, pirografia ed acrilico), “Desolazione” (1979, pirografia e acrilico), “C’era una volta un melo” (1980, pirografia e acrilico), ma soprattutto ai nudi, che rappresentarono invece una costante della sua produzione fino agli anni novanta.

Mancavano invece quegli scorci di lontani, splendidi paesi del nostro pianeta, che 6 sono diventati invece fattore determinante, anche se non esclusivo, delle sua produzione, a partire dagli anni ottanta, dipinti che accompagnano infatti da allora i suoi numerosi, numerosissimi viaggi nel mondo, appagando così contemporaneamente la sua sete di conoscenza, la sua curiosità turistica e culturale e la sua passione artistica.

Giovanni Quaglino, in quella prima recensione, oltre a rilevare e sottolineare nell’opera di Cominetti la virtuosistica modulazione del chiaroscuro e la vibratile matericità della luce, aggiungeva: “Quello che ancor più stupisce (ce lo ha detto lo stesso Cominetti) che non si tratta del frutto di un regolare corso di studi accademici, ma della conquista paziente di un autodidatta”.

Lo stupore permane ed è pienamente condiviso dall’autore dl queste note, note che vorrebbero essere di utilità per gli amatori dell’arte, quelli che già conoscono le opere di Sergio Cominetti, così come quelli che ancora non le conoscono, e che, quando le conosceranno, ne saranno probabilmente affascinati, per la raffinatezza tecnica e per l’immediatezza e sincerità espressiva.

Alessandro Giordano nel 1986 ricordava che Cominetti non è pittore che segua mode; oggi, a ventidue anni di distanza, non posso che confermare con assoluta convinzione questo fatto, che potrebbe apparire strano in un artista, perché sì sa che ogni epoca è caratterizzata da una o più forme o stili che fanno tendenza.

Festa di Laurea di Paolo Cominetti

Festa di Laurea di Paolo Cominetti

Eppure Sergio è anzitutto se stesso, oggi, come ieri e come (ne sono sicuro) domani; è interprete e narratore di una realtà viva e sentita, a cui aderisce con forza ed in profondità.

Il pennello e il pirografo sono i suoi strumenti e con essi descrive e riproduce il mondo che lo circonda e che ama, perché egli non vuole sorprendere, vuole solo comunicare i suoi sentimenti attraverso immagini reali.

Come ha scritto Giordano: “la realtà di Cominetti è fatta di frammenti (luoghi e figure), che attraverso una operazione artistica della memoria, diventano campi organici di vita estetica: la sua città, quella delle case e quella delle campagne; le figure di una umanità ammirata”.

Nel 1987, chiamato a recensire una delle sue numerose mostre personali, allestita alla Saletta Albertina di Novara, ricordavo il suo amore per l’arte figurativa, per una pittura fatta di cose e sentimenti, realizzate con sapiente raffinatezza stilistica e con profonda sensibilità umana.

Ricordavo che l’uomo, anche se spesso non appare, presente ovunque nei suoi lavori, con le sue gioie, i suoi dolori, i suoi problemi, perchè, Cominetti ne osserva la vita e ne offre la sua interpretazione, tramandanodone ai posteri immagini di rara bellezza.

Ricordavo anche che, pittore caratterizzato da una valida espressività, egli prediligeva gli scorci cittadini e novaresi, la paesaggistica e le figure femminili.

A proposito dei paesaggi sottolineavo come fossero segni tangibili di un suo intimo rapporto con la natura ed i suoi primordiali elementi, perché gli alberi, i campi, le risaie, il mare… esprimono la sua panteistica visione del mondo e si sviluppano sul filo della memoria, diventando ricche fonti di ricordi e suggestioni.

Ribadivo infine che i nudi femminili, eseguiti con rara raffinatezza grafica e coloristica, non sono che un altro esempio della sua acuta sensibilità umana.

La bellezza di un corpo femminile non è poi così diversa da quella di un avvincente spettacolo naturale, benché l’armonia delle forme emani un fascino malizioso difficilmente descrivibile.

Sottolineavo infine quella che era la vera novità della mostra, perché se queste erano le tematiche più note dell’artista, quelle con cui si era finora presentato al giudizio del pubblico e della critica, ottenendo sempre lusinghieri risultati, non potevo non osservare come in questa sua ultima mostra, la decima a Novara, egli, almeno parzialmente, si discostasse dalla consueta produzione.

Negli ultimi mesi infatti Sergio Cominetti, con la sua innata capacità di interpretare e narrare, aveva eseguito opere (dipinti e pirografie), in cui con le sue tecniche predilette era riuscito a fissare con sorprendente naturalezza e schiettezza scene e paesaggi molto diversi dal solito.

Si trattava, in quel caso, dell’Ungheria e della lontana Africa, conosciuti nel corso di recenti viaggi.

Paolo, Stefano, Angela e Matteo

Paolo, Stefano, Angela e Matteo

Da alcuni scorci evanescenti o vivaci di Budapest si passava ai ritratti africani del Togo o del Benin.

Il pittore era rimasto affascinato da queste lontane regioni, di cui si era quindi eletto appassionato interprete artistico.

In lui e nelle sue opere avvertivo lo stupore e l’entusiasmo che un altro artista novarese, Guido Boggiani, aveva provato nei confronti delle bellezze e dei popoli indigeni dell’America del Sud un secolo prima.

In occasione di questa esposizione, nel mio articolo, rilevavo quindi le tracce della evoluzione della sua pittura e della maturazione della sua sensibilità: “Cominetti scrivevo ha abbattuto quei confini geografici che da sempre limitano le esperienze umane, attribuendo alla sua opera un respiro veramente universale”.

Fino a quel momento la produzione del pittore era stata caratterizzata da tre tematiche, con le quali aveva acquisito la notorietà: i paesaggi di natura, le vedute di Novara, le figure e in particolare i nudi femminili; ora si era presentata però una quarta tematica, che nel futuro avrebbe acquisito un grande rilievo, fino a diventare ultimamente, per certi aspetti (ad esempio per numero di opere eseguite per ogni singola mostra), addirittura prevalente.

Con questa mostra facevano la loro comparsa infatti quei soggetti (paesaggi e figure), che egli conosceva nei suoi viaggi e fissava quindi al ritorno nella sua pittura, per offrire i suoi ricordi, impressioni ed emozioni anche ai Novaresi ed in particolare ai suoi amici ed estimatori.

Maria Adele Garavaglia nel 1993 definiva la pittura di Cominetti: “lirica e rasserenante” ed aggiungeva che essa rappresentava un punto di riferimento imprescindibile nel panorama culturale novarese degli anni ottanta e novanta.

A proposito delle sue scelte tematiche, confermava quanto era ormai da tutti conosciuto e riconosciuto: “Novara, le sue strade, le sue atmosfere, sono al centro di una feconda indagine che si dirama in molteplici direzioni: la campagna novarese, luoghi esotici visitati in viaggi che testimoniano il desiderio di confrontare luci e sfumature dei diversi paesaggi, nudi femminili quasi diafani, a evidenziare la sublimazione della donna in un processo non dissimile da quello che lo induce a riprodurre alberi o muri quasi scarnificati: Sergio Cominetti sa dare, nei suoi quadri, l’esatta misura della pittura fatta poesia”.

Come già sosteneva a quel tempo la Garavaglia, Cominetti non è pittore realista eppure, al tempo stesso, incredibilmente e con grande felicità espressiva, riesce a rispettare la realtà, riesce cioè ad interpretarla senza snaturarla, riesce a rappresentarla emotivamente, arricchendola di emozioni che vengono fissate sulla tela e quindi vengono trasmesse a chi osserva il dipinto, conservando tuttavia il dato visivo e reale.

La sua inoltre è la pittura di un naturalismo schietto e sereno, che a sua volta rasserena l’animo di chi guarda.

Sono l’armonia delle forme e dei colori, l’equi- 8 librio della tavolozza ed una positiva impronta atmosferica ed emozionale che consentono di raggiungere quel risultato in composizioni dove non sono ammessi eccessi ed asperità.

La vita di Sergio e la sua attività lavorativa sono state intense, così come appare con evidenza nelle belle e sincerissime note biografiche, da lui scritte con schiettezza e pubblicate in questo volume, apparato fondamentale per comprendere uomo ed artista.

Sergio Cominetti, come ricordava Marco Parsini già nel 1994, è un personaggio anticonformista ed eclettico. Ha due figli maschi a cui è particolarmente legato: Stefano e Paolo, il primo laureato in ingegneria meccanica, il secondo laureato in scienze delle tecnologie alimentari. Stefano recentemente, con la moglie Angela, gli ha regalato un bel nipotino: Matteo, che è nato il 29 maggio 2007.

Sergio infine vive con Adele, sua affezionata compagna da quattordici anni, che condivide molte sue passioni, compresa quella per i viaggi. La serenità familiare gli è di stimolo per l’ideazione, la promozione e la realizzazione delle sue molte iniziative nel campo artistico e culturale, come in quello dell’organizzazione di viaggi e progetti benefici.

Durante la sua attività di insegnamento, iniziata per caso e poi continuata per trentadue anni, sollecitava gli allievi a partecipare a concorsi scolastici nazionali ed internazionali, collaborando con loro. I risultati erano più che buoni: classi intere o singoli allievi hanno meritato di essere ricordati sulle cronache dei giornali o in televisione, vincendo anche ricchi premi e in particolare viaggi in Italia e all’estero.

L’artista, come già ricordava Parsini, sa disegnare molto bene e ciò non è né ovvio né banale visto che oggi molta gente ritiene di poter dipingere anche senza sapere disegnare. Non si colloca e non vuole collocarsi in un movimento o in una tendenza artistica particolare, benché sicuramente egli abbia ben compreso e sapientemente utilizzato la lezione dei veristi, dei pittori di macchia e degli impressionisti.

Egli è pittore e vuole semplicemente fare il pittore. Si tratta però di pittore capace, preparato, appassionato, pittore della realtà ma anche del sentimento, vero maestro di natura e di emozioni.

Come uomo oltre che come artista, ha dato e continua a dare molto a chi lo circonda, ai suoi familiari, amici ed estimatori, ma anche alla terra novarese, alla quale è profondamente legato.

Enzo de Paoli