Personale di Sergio Cominetti al Centro Culturale "Vecchio Municipio" di Santa Maria Maggiore.

Il “personaggio” Cominetti, non può prescindere dal “pittore”.

La sua prima “personale” risale al 1976. Forse nemmeno lui saprebbe dire quante volte ha esposto le sue opere al pubblico. E ognuna di esse è stata un successo.

Qual è il segreto? Probabilmente la sua straordinaria umanità, il suo amore per la vita, la sua capacità di emozionarsi, trasmesse attraverso  tecniche sapienti che sanno fare di ogni quadro qualcosa di nuovo. Nelle sue esposizioni non capita proprio mai di dover dire: “Questo l’ho già visto”. Ogni volta è una novità. Tuttavia, in questo pur multiforme cambiare, si nota una coerenza e una fede costante ai propri registri stilistici e ai propri moduli espressivi. In altre parole: Cominetti è sempre se stesso, eppure sa proporre immagini nuove e tematiche diverse.

Quello che non cambia è il messaggio.

Perché l’arte è soprattutto dialogo con le persone, capacità di suscitare emozioni e comunicare idee.

Cominetti, con le sue opere, ci trasmette un’ottimistica visione della vita, una convinta volontà di trovare quanto di bello e positivo questo nostro splendido mondo ci sa dare.

Beninteso, non sarebbe vero affermare che la pittura di Cominetti è consolatoria: ci sono opere inquietanti, sconvolgenti, intrise di amarezza e dolore profondo. Si vedano certi desolati paesaggi  (C’era una volta un melo 1980, Paesaggio surreale 1979, Desolazione  1979) o le tragiche Deposizioni del 1981 e del 1986  o i volti del Cristo e il Calvario del 1981. Tuttavia, benché tali produzioni testimonino la presenza nel pittore della chiara consapevolezza di quale percorso doloroso sia l’esistenza, la pittura di Cominetti ci invita comunque a guardare con fiducia al futuro e a scoprire, al di là della disperazione e della desolazione, la speranza e la bellezza.

L’arte, in fondo, è  un preciso stadio della conoscenza, come afferma Platone. E la conoscenza porta  al bello, che manifestazione tangibile del Bene.

Le opere di Cominetti preferiscono evidenziare quanto di bello, di seducente, di emozionante ci circonda. Noi spesso non ce ne accorgiamo, impegnati a correre per perseguire, ogni giorno, innumerevoli obiettivi, molto spesso minimi. Ma il pittore sa vedere oltre e sa trasmettere.

Capita anche con alcuni poeti. Giovanni Pascoli, per esempio . Tutti lo capiscono e lo amano, perché la sua poesia appare semplice, immediate, accessibile. Ma sotto questa immediatezza sta una  tecnica sopraffina che consente di esprimere concetti importanti con parole piane, levigate e armoniose. E l’Ariosto? Attraverso la sua narrazione il Rinascimento ci sorride con leggerezza, ma anche sa illustrare una complessa visione della vita , in cui la tragedia si mescola all’ironia.

La leggerezza, intesa come levità e gioiosa immagine del reale, è una componente costante e importante dell’opera di Cominetti che viene presentata in questa mostra. E, sempre citando il Pascoli, il segreto forse consiste nel saper coltivare, dentro di sé, un animo fanciullo, in grado di stupirsi ogni volta di fronte alla bellezza della natura, molto spesso rappresentata piegata dal lavoro degli uomini  o all’armonia del corpo, anche se, talvolta, vengono rappresentate due mani che reggono un bicchiere e una sigaretta ( Mani, 1980)

Le tematiche sono svariate e multiformi, ma domina il paesaggio: Novara, con le sue strade lucide di pioggia o brumose, ma sempre allietate da figure, ombrelli colorati, cappotti sgargianti, come a ricordarci che il sole è pronto a spuntare;  le risaie e le campagne novaresi, nel tripudio estivo, nell’imminenza del raccolto  o nelle brume autunnali; il paesaggio dei laghi e dei monti; il lavoro umano; le nature morte; il Sacro; scene di vita quotidiana; il nudo femminile e, non ultimo per “numero di presenze”, il paesaggio esotico, popolato da una umanità festosa.

Perché Sergio Cominetti, come ha ben evidenziato Franco Terzera, è un grande viaggiatore . Torna  dalle sue esplorazioni del mondo  con uno straordinario bagaglio di emozioni che trasferisce sulla tela. E allora anche il suo pubblico viaggia con lui e scopre la fantasmagoria delle processioni messicane o delle lavandaie sulle rive del Nilo o del mercato galleggiante  di Bangkok,  l’incanto dei paesaggi peruviani e australiani, la liricità dei tramonti scozzesi su prati d’erica più rossi del cielo.

Anche le tecniche di Sergio Cominetti mutano  e si perfezionano. Gli anni Settanta e Ottanta hanno visto la grande stagione della pirografia, che consiste in una vera e propria scultura del legno, ottenuta attraverso l’uso del fuoco, come dice la parola. E’ una tecnica capace di sottolineare la tragicità di talune immagini di sofferenza o di fatica, ma anche di rendere splendidamente la magia, per esempio, dei tetti di Novara.

Negli ultimi anni il nostro pittore preferisce lavorare all’olio su tela e all’acrilico, ma non mancano bellissime riproduzione dei monumenti novaresi con matita su carta o china. Anche le acqueforti cesellano le forme architettoniche con perizia.

Ma forse, più di ogni altra cosa, è il colore che colpisce il pubblico e lo inchioda al quadro, perché il colore sa dominare la luce e guidare il fruitore a “sentire” le atmosfere. In altre parole il colore sa evocare altre sensazioni in impressionanti sinestesie. La neve balugina e dalla tela trasmette il silenzio ovattato che  ricrea quando risplende, di primo mattino, irradiata dal sole. La piazza  luminosa di santa Maria Maggiore, scintillante di gerani, ci trasmette il cicaleccio sereno delle persone sedute ai tavolini. La pioggia a catinelle riproduce davvero lo scroscio delle grondaie e la nebbia evoca quel particolare profumo che emana dalla terra e dall’acqua quando l’autunno è ancora tiepido.

Il colore e la luce si rifondono al punto che non sai se la seconda sia il frutto di una sapiente amalgama dei primi oppure sia una sorta di “tocco finale”, il soffio della vita che piove sull’opera conclusa. E ti accorgi che quelle strade, quelle pietre, quegli angoli di città che credevi di conoscere come le tue tasche, ti appaiono assolutamente nuovi e diversi, intrisi di un fascino inedito.

Scopri, così, che è bello vivere.

 Maria Adele Garavaglia